Cara Bergamo,
ti scrivo. Ti scrivo perché sei travolta da un ciclone che ti ha sconvolta, e ha sconvolto noi con te. Ti scrivo perché ci manca il suono delle campane a festa, che ha lasciato spazio a rintocchi che scandiscono le nostre enormi perdite. Ti scrivo perché penso alla bellezza dei tuoi colli a primavera, ora deserti e dal sapore desolato. Non abbiamo più un luogo, cara Bergamo, al di fuori di casa nostra, per poterti vivere, per poterti ammirare.
Mai avremmo pensato di veder sfilare carri militari per le vie della città, né di assistere all’arrivo dei soccorsi dall’estero. Sembrano immagini surreali, appartenenti a generazioni passate, che hanno vissuto la guerra. E invece no: questo è il nostro oggi, che ci rende spettatori attoniti. Stridono queste cronache, specialmente se paragonate al tuo fascino. Sei la città dai mille volti e dalle molteplici espressioni; la città con le Valli capaci di accogliere fiumi di turisti che adorano la montagna. Sei la città conosciuta come “di sopra” e “di sotto”, ma che ora più che mai si unisce in un unico abbraccio. Sei la città dal dialetto che fa sorridere, in cui non c’è domenica senza la tradizionale polenta, la città della gente che corre senza sosta e guai se non lavora. Eh sì, Bergamo, tu lo sai: sai che siamo un po’ testardi, forse apparentemente rudi, certamente pragmatici, ma onoriamo i nostri valori fino in fondo, con costanza e sacrificio.