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Il desiderio di Tantalo: quando ciò che nutre minaccia

15 marzo 2022Dott.ssa Negridipendenze, Psicoanalisi, Relazioni

C’era una volta Tantalo, tiranno di Frigia. Egli era considerato figlio di Zeus e per questo era particolarmente ben voluto dagli Dei, che gli permettevano di partecipare ai loro banchetti. Un giorno, però, Tantalo rubò il nettare d’ambrosia dalle tavole dell’Olimpo, affronto per cui gli fu inflitta una pena esemplare: venne legato ad un albero ricco di ogni qualità di frutti e immerso fino al collo in un lago di acqua dolce. Ogni volta che Tantalo provava a mangiare o bere, però, i frutti si allontanavano e l’acqua si ritraeva. Tantalo era condannato a consumarsi di fame e di sete. Le vicende del tiranno e la sua impossibilità di soddisfare i propri desideri sono all’origine del cosiddetto “supplizio di Tantalo”, metafora che si riferisce a chi sperimenta una profonda fatica nell’appropriarsi di bisogni apparentemente spontanei ed immediati, come ad esempio nutrirsi. 

Il 15 Marzo di ogni anno ricorre in Italia la Giornata Nazionale contro i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), il cui obiettivo è quello di diffondere consapevolezza rispetto alla natura di questi disagi e alle relative possibilità di cura, in un’ottica di sensibilizzazione e prevenzione.

Come è noto, l’alimentazione risponde in primo luogo ad un bisogno fisico, quello della fame. Ad un livello più profondo, però, il rapporto con il cibo si fa anche portatore della qualità della relazione con se stessi, con gli altri e con la propria esperienza di vita . Chi soffre di DCA (come anoressia nervosa, bulimia nervosa e binge eating disorder) spesso si costringe ad un rigido controllo della fame, che incarna la proibizione di desideri più profondi. Il cibo perde il proprio significato simbolico e relazionale di appagamento, di nutrimento per il soggetto nella sua globalità, trasformandosi in esclusivo conteggio di calorie e valori nutrizionali. Ci si priva del cibo nel tentativo di incarnare un’ideale di perfezione di fatto irraggiungibile; si resiste alla fame alimentando il bisogno di un controllo totale sulla propria vita. Questa sensazione di governabilità apparente fornisce sicurezza e diventa la via esclusiva per accettare se stessi. 

Il cibo può arrivare a rappresentare l’unico pensiero della giornata, il motore delle proprie scelte, una sorta di gabbia invisibile che isola dal mondo e imprigiona la persona dentro un alone di trasparenza. Nonostante la consapevolezza relativa alla necessità di sfamarsi, l’idea di “cedere” ad un bisogno può generare sensi di colpa che inducono azioni compensative, come la pratica di una massiva attività fisica, l’autoinduzione di vomito o, in alcuni casi, l’assunzione di lassativi. Si assiste quindi ad un paradosso tale per cui ciò di cui si ha bisogno rappresenta al tempo stesso nutrimento e minaccia.

Il tema del controllo è presente anche nel caso in cui si verifichino abbuffate: tali episodi, infatti, possono essere letti come momenti di sollievo, atti liberatori in cui la persona riesce a concedersi di non rispettare rigidi standard e ad entrare in contatto con una sensazione di pieno appagamento. Il cibo diventa in questo caso un rifugio, una sorta di via di fuga o di sfogo, a cui si accede pagando il prezzo di un marcato senso di colpa e di inadeguatezza. In qualsiasi sfaccettatura si manifestino, i DCA rappresentano un attacco al proprio corpo ed una minaccia alla propria salute fisica e psicologica. In questi casi risulta fondamentale sostenere la persona nel processo di liberazione dalle proprie paure, valorizzare la fiducia in se stessi e negli altri e favorire il recupero di un atteggiamento di rispetto del proprio corpo. Per questi motivi un percorso terapeutico può fare la differenza. 

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