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“I can’t live with or without you”: amore o dipendenza?

30 agosto 2020Dott.ssa Negridipendenze, Relazioni

I versi di “With Or Without you”, celebre canzone degli U2, richiamano alla mente uno dei temi cruciali dell’esistenza umana: l’amore. Protagonista indiscusso della letteratura di tutti i tempi, dalle origini ai nostri giorni, questo tema è da sempre oggetto di attenzioni e, al variare dei tempi e delle espressioni sociali, non smette di esercitare il proprio fascino. 

Come afferma Erich Fromm (1995), amare è il bisogno fondamentale dell’uomo. Nessuna esperienza, infatti, è paragonabile in termini di importanza a quella dell’amare e dell’essere amati. La nostra vita  intreccia il concetto d’amore sin dagli esordi: l’esistenza di un neonato, ad esempio, è legata a doppio filo all’amore della madre, che rappresenta non solo la principale fonte di nutrimento, ma anche un’insostituibile sorgente di accudimento, affetto e sicurezza. Appena venuti al mondo, quindi, viviamo l’esperienza dell’amore, eleggendola inconsapevolmente a nostro marchio di fabbrica. Vaghiamo poi nel mondo e per la vita cercando di replicare un’esperienza così sublime. Perché, a prescindere dal risultato finale, l’amore mette alla prova ogni grande tema della vita umana.

L’amore, nelle sue più varie espressioni, comporta inevitabilmente un certo grado di dipendenza. Crea un’interconnessione tra individui che permette di lavorare alla costruzione di un’alleanza profonda ed autentica. É proprio questo ciò che accade anche nelle coppie: due persone, pur mantenendo la loro individualità, costruiscono un’unione che contamina parzialmente i confini. Questa contaminazione non è da considerarsi problematica: un legame nasce dall’intreccio di due fili, che non rappresenta un vincolo bensì la possibilità di costruire qualcosa di nuovo. Autonomia e dipendenza, quindi, possono essere considerate come due estremità di uno stesso segmento e a volte capire in quale punto collocarsi può non essere semplice. 

Una relazione, specialmente nelle fasi iniziali e tipiche dell’innamoramento, è accompagnata da vissuti come entusiasmo, euforia, pienezza e da una certa bramosia. Sull’onda di queste sensazioni piacevoli, capita di sottovalutare la differenza tra il bisogno dell’altro e l’annullamento dei propri confini. Schiavi del mito secondo cui nella vita si è alla ricerca dell’altra metà della mela, cerchiamo disperatamente qualcuno che ci completi, trascurando il fatto che, da soli, rappresentiamo già un’unità intera. Figli del sentimentalismo che permea la cultura ad ogni livello, circondati da film e canzoni che esaltano la bellezza del senso di appartenenza, rischiamo di trasformare la relazione in qualcosa di totalizzante, al punto da annientare lo spazio personale. L’esperienza della solitudine, del saper stare esclusivamente con se stessi, diventa qualcosa da cui fuggire sempre più velocemente. Ogni nostro sforzo ha come fine il mantenimento del rapporto con l’altro, che diventa un bisogno da soddisfare ad ogni costo. La libertà e l’autodeterminazione lasciano spazio alla necessità di rappresentare per il partner un punto di riferimento insostituibile, a garanzia dell’importanza del sentimento. Il tentativo stesso di ricoprire nella vita dell’altro un posto d’eccezione può farsi testimone del bisogno di essere considerati speciali da qualcuno, a risarcimento di un’autostima precaria. Diventa allora importante chiedersi: amiamo per l’altro o amiamo per noi? 

Ciò che accade in situazioni di questo tipo, che vedono più frequentemente protagoniste le donne, è che purtroppo si cade nella trappola di una relazione inizialmente gratificante e accogliente ma che, a lungo termine, si rivela un vortice dannoso, che trascina senza appigli. Partner che seducono e valorizzano, capaci di farci sentire importanti, delle persone uniche, una vera svolta nella loro vita. In realtà lottano anch’essi contro un’opinione di sé precaria, un senso di vuoto esistenziale coperto da un sottile velo di efficacia. E si sa, prima o poi lo scorpione non può far altro che aderire al suo vero istinto, quello di  pungere. 

E così, l’anima ferita finisce veramente con il sentirsi completa solo grazie all’altro, in una sorta di rimbalzo del tipo “io ti salverò/tu mi salverai”. Quando l’altro diventa uno strumento per la valorizzazione di se stessi o la cicatrice di ferite passate l’amore si trasforma, perde il proprio valore arricchente e di crescita, finendo per trasformarsi in un’esperienza di sacrificio. E, toccante quanto drammatica, la mitica canzone di Bono svela il paradosso della dipendenza, che  lascia “con nulla da vincere e nulla da perdere”, sullo strascico di un’identità inglobata nei confini dell’altro. 

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