Todd Phillips ha affidato a Joaquin Phoenix la magistrale interpretazione di Joker: personaggio problematico, inquietante e dall’indubbio spessore psicologico. Se è vero, da un lato, che le vicende del protagonista si prestano a letture su più livelli, ciò che è altrettanto certo è che lo spettatore non può restare indifferente di fronte alla complessità dei vissuti che permeano la storia. Joker è il film delle contrapposizioni: quella tra riso e pianto, tra mondo interno ed esterno, tra apparenza e sostanza, tra salute e malattia e, non da ultimo, tra ricchezza e degrado sociale.
Arthur vive con la madre inferma in un umile quartiere di una Gotham che non conosce supereroi. Un contesto lontano da sfarzi, che taglia i sussidi per le persone fragili, condannandole di fatto ad una qualità di vita precaria. Arthur è reso diverso da una malattia che lo imprigiona in una risata stridente, quasi tragica, unica via di espressione di una sofferenza profonda e indicibile. Arthur, infatti, non riesce a manifestare il proprio disagio in un modo socialmente comprensibile e così, nei momenti di difficoltà, si lascia andare ad una risata intensa, che buca lo schermo e arriva dritta allo spettatore. Un sintomo paradossale, che assume le sfumature del dolore, del pianto, dell’angoscia. Vissuti che gli altri non sembrano inclini a cogliere né ad accogliere.
“La parte peggiore di avere una malattia mentale è che le persone si aspettano che ti comporti come se non l’avessi”.
Arthur rincorre instancabilmente il proprio sogno, quello di diventare un comico affermato. La sua giovinezza trascorre però tra violenza, esclusione e marginalità. E così, la mente di Arthur trasforma tutto ciò che non possiede in allucinazione. L’abbandono del pensiero logico e razionale diventa per l’uomo l’unico mezzo per colmare le mancanze sperimentate, specialmente quelle affettive. É solo in un mondo parallelo e irreale, infatti, che Arthur si sente apprezzato, amato e realizzato. Lo spettatore è trascinato in un continuo alternarsi tra realtà e pensiero allucinatorio, arrivando a chiedersi quali vicende accadano realmente e quali rappresentino l’amaro frutto della mente del protagonista.