Le vicende della cronaca attuale rappresentano indubbiamente un banco di prova molto forte per la popolazione italiana (e non solo). Nell’arco di pochi giorni, in modo marcato e improvviso, migliaia di persone non hanno potuto far altro che assistere inermi ad un radicale cambiamento delle proprie abitudini quotidiane e, in alcuni casi, anche ad una drastica riduzione della propria libertà personale. Centri sportivi, cinema, luoghi di culto e di aggregazione sono stati chiusi; attività formative di ogni ordine e grado sospese. E così, se nelle settimane precedenti la voglia di studiare o di allenarsi in palestra latitava, oggi ciò di cui siamo provvisoriamente privi emerge in modo prepotente. In momenti così critici, adottare comportamenti preventivi è senza dubbio un dovere, oltre che una scelta responsabile e rispettosa per sé e per gli altri. D’altro canto, però, il confine tra premura e panico si è dimostrato talvolta troppo sottile. Cosa ci succede in questi casi? Quali sono le motivazioni alla base della cosiddetta “psicosi da virus”? La quotidianità rappresenta uno schema routinario in grado di offrirci un senso di protezione e sicurezza. Ognuno di noi, senza esserne consapevole, ha bisogno di alzarsi e svolgere le normali azioni quotidiane: recarsi al lavoro, fare la spesa, allenarsi, andare al cinema, oppure a messa la domenica. Questo ci aiuta a definire la nostra identità. Quando le nostre aspettative sulla realtà vengono minacciate, come sta accadendo in questi giorni, il senso di sicurezza vacilla. Tendiamo a dimenticare che provare paura è un’esperienza normale; così come preoccuparci per la nostra salute. E allora, influenzati dalla mancanza di certezze, senza rendercene conto lasciamo che la paura si trasformi in terrore, che l’angoscia dilaghi e diventi protagonista delle nostre giornate.

Come sottolineato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, cercare di placare l’ansia inseguendo informazioni amplificate e spesso incontrollate risulta del tutto controproducente. “Un atteggiamento psicologico valido può aiutare non solo chi lo attua, ma anche gli altri, innescando un circolo virtuoso, e aumentando il quoziente di resilienza dell’individuo, della famiglia e della comunità”.
In situazioni come questa, il problema oggettivo si affianca poi ad una dimensione soggettiva, che dipende dal vissuto di ciascun individuo, dal proprio livello di fiducia in sé, dalla propria concezione di salute e malattia, oltre che dalla propria visione del mondo. Per questo motivo, il dilagare di comportamenti irrazionali non è da ricondursi esclusivamente agli eventi di questi giorni, che assumono certamente caratteristiche di criticità, ma anche alla percezione soggettiva della minaccia. Ricordiamo che la presenza di un rischio di contagio non equivale di per sé ad una pericolosità per la salute umana. Il panico è nemico della salute fisica e psicologica, perché spinge a gesti improvvisati, poco razionali, persino rischiosi o, ad ogni modo, iperprotettivi.
Come resistere alla tentazione del panico? È importante ricordare che la paura può assumere un carattere evolutivo, se trasformata in interesse per la vita, per l’altro, per l’umanità. Avere paura può aiutarci a partecipare in modo più consapevole e sentito alla vita della collettività. La paura serve se viene assunta come base per un comportamento responsabile e rispettoso, da attuarsi sempre. Un timore ha significato costruttivo se non diventa motivazione per rinunciare alla vita, se non assume i colori dell’egoismo e della fobia ma quelli dell’accettazione di una difficoltà e di una conseguente attivazione di risorse personali. E allora, forse, sarà questo il significato che potremo cogliere e apprezzare a lungo termine, una volta tramontata l’emergenza.